Dodici imperatori romani 'in blu' e l'illustrazione numismatica a Venezia

Dal 12 febbraio al 12 marzo è visitabile a Venezia la mostra organizzata da Philobiblon presso la Biblioteca di San Francesco della Vigna (VEDI IL CATALOGO).
Vi sono esposti un manoscritto e 21 libri stampati su carta azzurra, tra cui un volume settecentesco che spicca sia per la raffinata serie di silografie che per l'illustre provenienza: Le vite de' Dodici Cesari - traduzione italiana del De vitae XII. Caesarum di Svetonio - pubblicato a Venezia nel 1738.
Composta dallo storico, bibliotecario e archivista romano Svetonio intorno al 122 d.C., durante il regno dell'imperatore Adriano, l'opera presenta la biografia del "precursore" della prima dinastia imperiale romana, Giulio Cesare, insieme a quelle dei primi undici imperatori che lo seguirono, da Augusto a Domiziano. Lo scritto ebbe un'ampia circolazione manoscritta e, dall'età carolingia in poi, fu uno dei testi classici più popolari, fornendo un modello di riferimento per la creazione di biografie imperiali, o più in generale per il genere della biografia di uomini illustri. Le Vite di Svetonio sono ricche di dettagli: lo scrittore abbozza i ritratti individuali di ciascuno dei dodici Cesari, narrando le loro vicende private, delineandone le personalità e le attitudini mentali, enumerando le loro virtù e i loro vizi e descrivendone le caratteristiche fisiche.
De vitae XII. Caesarum apparve per la prima volta a stampa a Roma, nell'agosto del 1470, a cura di Giovanni Antonio Campano e per i torchi di Giovanni Francesco da Lignamine. Fu seguita nello stesso anno da una seconda edizione, impressa dalla tipografia romana diretta dai tedeschi Conrad Sweynheym e Arnold Pannartz. Nei secoli successivi si ebbero innumerevoli edizioni e traduzioni in lingue vernacolari.
Al di là di ambiti come quello della trasformazione del genere della scrittura biografica o della storia culturale dell'Impero Romano, le Vite dei dodici Cesari di Svetonio ebbero, nel contesto antiquario, un enorme impatto sulle arti visive e sull'immaginario figurativo. Per secoli, infatti, queste vivaci descrizioni rappresentarono una preziosa fonte per la realizzazione di dipinti, stampe, sculture e manufatti in metallo, riflettendo così la passione - e persino l'ossessione - di sovrani e principi per le tematiche imperiali; tale continuo ricorso all'opera di Svetonio contribuì, a sua volta, a dare sempre nuova linfa vitale al testo delle Vite. Un paio di esempi, tratti dalle numerose opere d'arte che hanno tradotto in immagini le biografie di Svetonio, sono sufficienti a mostrare l'estensione di questo lignaggio culturale: le undici tele con gli imperatori romani realizzate da Tiziano nel 1540 per il Camerino dei Cesari di Federico Gonzaga duca di Mantova, tutte purtroppo perdute in un incendio in Spagna nel 1734; e il capolavoro di argenteria rinascimentale rappresentato dalle Tazze Aldobrandini (1587-1599), una serie di dodici coppe in argento dorato, ognuna delle quali è alta più di un piede e contiene la statuetta di uno dei primi dodici Cesari, con aggiunta di episodi della loro vita. Il set apparteneva ad un unico membro della potente famiglia Aldobrandini, mentre attualmente si trova sparso in varie collezioni in tutto il mondo.
Le Vite di Svetonio hanno naturalmente svolto un ruolo di rilievo anche negli studi numismatici e nel collezionismo. Le monete raffiguranti i Dodici Cesari divennero infatti un must per tutte le collezioni più pregevoli e raffinate, e a partire dalla metà del XVI secolo i ritratti degli imperatori - nelle edizioni illustrate di Svetonio - erano generalmente basati su monete antiche. Un esempio di tale reciprocità di contaminazioni è la seconda edizione ampliata del commento a Svetonio pubblicata da Levinio Torrentio, apparsa per la prima volta nel 1578 ad Anversa e di nuovo nel 1592, dove il frontespizio è incorniciato dai ritratti entro medaglione dei dodici Cesari, attorniati da iscrizioni che imitano quelle delle monete romane. Anche l'edizione basilese di Svetonio impressa nel 1675 e curata dal noto antiquario Charles Patin - molto popolare e spesso ristampata – fu completamente illustrata con monete antiche.
La stretta correlazione tra le Vite di Svetonio e l'immaginario numismatico è evidente nell'edizione veneziana pubblicata da Francesco Piacentini nel 1738 che Philobiblon ha voluto esporre - in un raro esemplare stampata su carta blu - a San Francesco della Vigna: Le vite de' Dodici Cesari di Gajo Svetonio Tranquillo. Come recita il bel frontespizio impresso con inchiostro rosso e nero, la traduzione è quella in 'volgar fiorentino' realizzata da Paolo Del Rosso (1505-1569), apparsa per la prima volta a Roma nel 1544 presso Antonio Blado, a spese di Francesco Priscianese. Nel suo discorso preliminare al lettore, lo stampatore Piacentini presenta brevemente la stimatissima traduzione di Del Rosso, introdotta – come nell'edizione originale del 1544 – dall'epistola dedicatoria all'ambasciatore fiorentino alla corte di papa Paolo III, firmata da Francesco Priscianese. Il tipografo elenca le novità e i miglioramenti della sua nuova edizione, citando soprattutto l'apparato illustrativo, che comprende – come annunciato sul frontespizio – "le vere effigie de' Cesari". Come introduzione visiva alle varie biografie compaiono, infatti, i medaglioni silografici raffiguranti i dodici imperatori.
Come spiega lo stampatore, queste immagini riproducono fedelmente - nel disegno - la serie di medaglioni originariamente eseguiti dall'eccezionale pittore, numismatico e antiquario fiammingo Hubert Goltzius (1526-1583) per il suo Vivae omnium Imperatorum Imagines, pubblicato ad Anversa nel 1557 da Gilles Coppens van Diest. Piacentini sottolinea l'accuratezza delle immagini silografiche incluse nella pubblicazione - sempre sull'esempio delle Vivae omnium Imperatorum Imagines di Goltzius – nonché il notevole impegno finanziario necessario per la loro realizzazione: produrre incisioni su rame sarebbe stato infatti molto più economico. In realtà lo stampatore veneziano non seguì completamente il modello di Goltzius. L'artista fiammingo aveva, infatti, reso i suoi ritratti silografici in chiaroscuro, utilizzando una tecnica di stampa diffusa soprattutto nell'Italia cinquecentesca, come attesta in modo sorprendente il catalogo complementare della mostra del 2018 The Chiaroscuro Woodcut in Renaissance Italy, curata da Naoko Takahatake al Los Angeles County Museum of Art.
La silografia in chiaroscuro – la cui invenzione è attribuita da Giorgio Vasari a Ugo da Carpi (1480-1532) – è una tecnica piuttosto elaborata, che "comporta la stampa sovrapposta di più blocchi di colori diversi, con l'apparente scopo di imitare gli effetti di certi tipi di disegni [...] In una silografia chiaroscurale a due blocchi, il blocco di linea è comunemente inchiostrato in nero o grigio scuro, mentre il colore del blocco di tono può variare notevolmente [...] Quando vengono utilizzati due o più blocchi di tono, sono solitamente stampati in tonalità graduate della stessa nota cromatica per rendere al meglio i valori tonali" (trad. da The Chiaroscuro Woodcut in Renaissance Italy, p. 12). Comunemente è la carta al naturale a fornire le luci bianche, mentre nel caso di stampa su carta blu, gli effetti chiaroscurali possono essere resi a mano, con lumeggiature a biacca.
Il risultato è magnifico. "Per dimensioni e scala le Vivae omnium Imperatorum Imagines non hanno precedenti nel campo della numismatica. Sebbene altri editori e incisori avessero pubblicato volumi contenenti illustrazioni di medaglioni antichi, le loro imprese risultavano più modeste rispetto all'opera di Hubert Goltzius, con le immagini in chiaroscuro a tutta pagina. Il confronto di questi primi testi numismatici (o anche dei volumi successivi di Hubert Goltzius) con le Imagines mostra quanto fosse efficace l'aggiunta del colore. Le stampe chiaroscurali riuscivano infatti, molto più delle silografie o delle incisioni in bianco e nero, a catturare le qualità metalliche e scultoree delle monete" (trad. da N. Bialler, Chiaroscuro Woodcuts. Hendrick Goltzius (1558-1617) and his Time, Amsterdam 1992, pp. 31-32).
Questa tecnica era forse troppo elaborata e complessa per Francesco Piacentini, che rese i ritratti dei Dodici Cesari utilizzando un unico blocco di tono. Inoltre quando nel 1644-1645 le opere complete di Goltzius – tra cui anche le Vivae omnium Imperatorum Imagines – furono ristampate dall'Officina Plantiniana, le serie di ritratti di imperatori e imperatrici vennero impresse come silografie tradizionali.
Indipendentemente dalla tecnica utilizzata, comunque, lo Svetonio del 1738 è giustamente considerato uno dei migliori esempi di illustrazione veneziana del XVIII secolo. Le silografie sono perfettamente delineate e l'effetto nel ricreare l'aspetto delle monete antiche è ancora più fine nel caso della copia qui presentata, dove i medaglioni - ben inchiostrati - si stagliano con nitidezza sul fondo della carta blu.
Il raffinato apparato illustrativo è ulteriormente arricchito da un'elaborata bordura silografica che incornicia l'occhietto, firmata dall'artista inglese John Baptist Jackson (1701-1780), la quale offre un compendio di motivi figurativi e ornamentali propri dell'antichità: vasi, colonne, armi, scudi, armature, erme, e naturalmente monete. In alto, su un cartiglio, si legge il motto 'EX INTIMO SUI SURGIT', lo stesso usato da Piacentini nella sua marca tipografica stampata sul frontespizio.
Jackson nacque a Battersea nel 1701. Dopo aver appreso i rudimenti della stampa in Inghilterra, nel 1725 si trasferì a Parigi, dove studiò la tecnica delle silografie chiaroscurali con Jean Michel Papillon e Vincent le Sueur. Più tardi, nel 1731, si recò a Venezia, dove risiedette fino al 1745. Il soggiorno veneziano fu decisivo per la sua carriera di incisore e illustratore: nel XVIII secolo Venezia fu un centro importantissimo per la rinascita dell'incisione e la produzione di libri finemente illustrati. Lì, Jackson poté inoltre trovare il generoso sostegno di un altro residente inglese, il grande collezionista e mercante d'arte Joseph Smith (1682-1770), che si era stabilito in Laguna nel 1700 e che nel 1744 fu nominato console britannico della città. Smith – o, per prendere in prestito le parole di Horace Walpole, il "Mercante di Venezia" – aveva stretti rapporti con stampatori ed editori e a partire dal 1730 ebbe un ruolo attivo – non solo come finanziatore – nell'officina tipografica diretta da Giovanni Battista Pasquali (1702-1784), da cui uscirono alcuni dei migliori libri veneziani del tempo.
Smith aveva un'autentica passione per i disegni e le stampe, che lo rese rapidamente un vero e proprio "impresario" di questo settore. Il suo nome si lega strettamente ad uno dei più importanti artisti veneziani dell'epoca, Antonio Canal, meglio conosciuto come Canaletto (1697-1768). In segno di gratitudine verso il suo munifico mecenate, Canaletto gli dedicò la sua celebre serie Vedute Altre prese da i Luoghi altre ideate da Antonio Canal e da esso intagliate poste in prospetiva (1744), una delle più impressionanti serie settecentesche di vedute di Venezia e dintorni mai realizzate: 'all'Ill.mo Giuseppe Smith Console di S. M. Britannica'.
Smith introdusse Jackson nella sua vasta rete di contatti artistici ed editoriali e gli commissionò la realizzazione di silografie in chiaroscuro a riproduzione di due opere d'arte conservate nel suo palazzo, affacciato sul Canal Grande: una scultura in bronzo del Giambologna e il dipinto Discesa dalla Croce di Rembrandt (ora alla National Gallery di Londra). Lo incoraggiò poi ad intraprendere un progetto più ambizioso, cioè riprodurre - sempre in chiaroscuro - opere di maestri veneziani come Tiziano, Veronese, Tintoretto e Jacopo Bassano, conservate in varie chiese e confraternite, o scole. Jackson vi si dedicò a partire dal 1739, realizzando una serie di diciassette silografie chiaroscurali che il console britannico raccolse in un volume, pubblicato da Giambattista Pasquali nel 1745: Titiani Vecelii, Pauli Caliari, Jacobi Robusti, et Jacopi de Ponte opera selectiora a Joanne Baptista Jackson Anglo ligno coelata et coloribus adumbrata.
Sebbene in relazione allo Svetonio del 1738 Jackson abbia firmato soltanto la cornice silografica impressa all'occhietto - mentre il diegno e l'intaglio dei ritratti sono generalmente attribuiti ad artisti anonimi - alcuni studiosi hanno suggerito che possa aver collaborato alla realizzazione.
A causa del suo temperamento aspro e della rivalità con altri incisori attivi nella laguna, però, Jackson non fu del tutto in grado di trarre profitto dalle sue relazioni veneziane. Nel 1745 rientrò in Inghilterra, dove - pochi anni dopo - cercò di applicare le abilità acquisite nella tecnica dell'intaglio del legno in chiaroscuro a un'impresa commerciale, fondando a Battersea una fabbrica di carta da parati. L'iniziativa imprenditoriale fu un fallimento. Nel 1754 Smith pubblicò a Londra un libretto, per tentare di promuovere la sua manifattura, dove ricordò – forse con rammarico – il prestigioso mecenatismo dei tempi veneziani (Saggio sull'invenzione dell'incisione e della stampa in chiaro oscuro, come praticato da Albert Dürer, Hugo di Carpi, ecc.)
Molte delle opere in mostra a San Francesco della Vigna, tutte stampate su carta blu, recano le tracce di provenienze illustri, che riconducono ad alcuni dei più grandi nomi di questo particolare settore del collezionismo librario. Le vite de' dodici Cesari del 1738 non fa eccezione. Il primo proprietario conosciuto fu infatti il patrizio veneziano e senatore della Serenissima Giacomo Soranzo (1686-1761), come attesta la sua noto di possesso al recto della carta di guardia anteriore, '1743 Di Giano Soranzo'.
Soranzo è stato uno dei più grandi collezionisti di volumi impressi su carta azzurra. La sua magnifica biblioteca – comprendente 4.000 manoscritti e circa 20.000 libri a stampa – fu in gran parte venduta dai suoi eredi tra il 1780 e il 1781 e per questo i volumi che portano 'segni' della sua proprietà sono sparsi in tutto il mondo. Questa speciale copia dello Svetonio su carta azzurra aveva però già cambiato proprietario mentre Soranzo era in vita, passando nelle mani di uno dei protagonisti della scena veneziana già menzionato in questo approfondimento: il console britannico Smith. Il suo grande ex-libris – finemente inciso da Antonio Visentini (1688-1782), altro importante artista veneziano che godette del suo genereoso mecenatismo – è apposto al contropiatto anteriore. Vicentini è noto per la serie di acqueforti intitolata Prospetto Magni Canalis Venetiarum, tutte tratte dai dipinti di Canaletto e licenziate dalla tipografia Smith-Pasquali nel 1735.
Nel 1755 apparve il catalogo generale della Bibliotheca Smithiana, curato da Girolamo Francesco Zanetti e Giovanni degli Agostini, stampato dal sempre fedele Pasquali e caratterizzato dalla consueta eleganza e accuratezza. Sono elencate quindici diverse edizioni dei Dodici Cesari di Svetonio, a partire dalle Vitae veneziane apparse nel 1471, ed è inclusa questa stessa copia di Svetonio del 1738, stampata su carta blu: "[Svetonius] la stessa, tradotta dal suddetto [Paolo Del Rosso], con le vere Effigie de' Cesari (cavate da Goltzio) ed altre illustrazioni. Venerabile per Francesco Piasentini [sic] 1738. 4. c. gr. turchina. gamba Oll." (Bibliotheca Smithiana seu Catalogus librorum D. Josephi Smithii Angli, p. ccclviii).
Molte delle edizioni di Svetonio appartenute al console britannico erano illustrate e Smith possedeva anche le già citate opere complete di Goltzius, pubblicate dall'Officina Plantiniana, tra cui erano riproposte le Vivae omnium Imperatorum Imagines. Un fatto normale tenuto conto del suo interesse per la numismatica e la presenza, nella sua squisita collezione antiquaria, di monete e gemme antiche.
Il catalogo del 1755 rappresenta l'apice della collezione di libri di Smith. Costretto da crescenti difficoltà finanziarie, il britannico si rassegnò, negli anni successivi, a vendere la sua grande biblioteca, mentre la sua celebre collezione d'arte fu in gran parte acquistata da re Giorgio III nel 1761, per la somma di 20.000 sterline. Il British Museum conserva, quasi intatte, le sue preziose raccolte di disegni e stampe, che comprendono non solo i grandi nomi di Canaletto e Visentini, ma anche silografie chiaroscurali del suo caro Jackson. Tra queste un ritratto di tre quarti di Giulio Cesare con corona d'alloro, stampato in nero, marrone e ocra (vedi https://www.britishmuseum.org/collection/object/P_1918-0713-31), tratto da un'acquaforte di Egidio Sadeler II appartenente alla sua serie Gli imperatori e le imperatrici di Roma (1597-1627) e il cui disegno è attribuito a Tiziano. Considerando le linee meravigliosamente sinuose e le variegate profondità date dalla stampa sovrapposta di più blocchi, sembra impossibile che Jackson non avesse in mente i raffinati modelli del sorprendente Svetonio veneziano del 1738 e, più in generale, la rinnovata importanza dei temi imperiali che l'opera Svetonio non smise mai di rimettere in circolazione.
Il post originale in lingua inglese di Margherita Palumbo, "Twelve Blue Caesars and Numismatic Imagery in Venice", sul sito PRPH Books, 21 ottobre 2020/aggiornato il 19 maggio 2021, https://www.prphbooks.com/blog/suetonius. Accesso [data].